F1 - Il Film
- Matteo Landi
- 16 lug
- Tempo di lettura: 3 min
Recensione

Le cicatrici sulla schiena sono il memento dell’incidente che lo ha segnato, non solo sulla pelle e nelle ossa, ma anche nell’animo, un evento che gli turba il sonno e cambia la vita. Correva l’anno 1993, Sonny Hayes era un pilota di belle speranze, pronto a spaccare il mondo. Poi il botto, il buio, la fine di un sogno. Ma il suo bisogno di “volare” sulle ali della velocità non si placa portandolo ovunque, in qualsiasi sfida motoristica. Anche nella meravigliosa 24 ore di Daytona, corsa leggendaria che apre il film. F1 non è solo il nome del lungometraggio ma anche della speranza infranta che si trasforma in rinascita per il pilota interpretato dal solito immenso Brad Pitt. Una squadra giovane in difficoltà ha bisogno di lui, seppur over 50. Per crescere, fare i primi punti, puntare alla vittoria, e sopravvivere nel Circus. Ne ha bisogno anche l’arrogante giovane pilota ricco di talento ma decisamente povero di umiltà. Presto si scopre che non è altro che il frutto di un sistema che vuole i piloti tutti uguali, burattini, manichini per il pubblico e, quindi, gli sponsor. Ma il “lato umano” è la caratteristica vincente, in cui il giovane imparerà dal vecchio tanto quanto il vecchio può apprendere dal moderno mondo delle corse.
Visto con gli occhi dell’appassionato duro e puro il film non è la fine del mondo, ed emoziona il giusto. Non è certo “Ferrari 312B”. Qui non si respira l’odore di olio esausto, non c’è un Mauro Forghieri in versione direttore tecnico/restauratore che fa da ponte fra passato e presente. Non vengono i lucciconi agli occhi all’accensione del 12 cilindri boxster, che con il rombo fa tremare il torace. Alla monoposto (una F2 camuffata da F1) lavora soprattutto una direttrice tecnica (a proposito, i peggiori stereotipi non mancano) a cui basta qualche ora di lavoro per trovare una soluzione che regala paccate di decimi al giro.
F1 è però un ottimo film di azione e intrattenimento. Ti tiene incollato alla poltrona per oltre due ore e trenta. Il logo del film è lo stesso della massima serie, indizio sbattuto in faccia allo spettatore che sottolinea il coinvolgimento a livello di brand. Così come il numero sconfinato di product placement, dagli orologi, alle birre, al mondo della moda. La trama ricorda che anche nel campionato automobilistico più professionale, e difficile, è possibile spiccare da zero (non senza corposi investimenti di denaro e finanziatori). Certo, non c’è un Nico Hülkenberg in grado di arrivare a podio partendo dall’ultima fila con la cenerentola Sauber, grazie a strategia e pulizia di guida. Il destino beffardo ha voluto che la realtà potesse superare la finzione, proprio nel periodo di uscita del film. Sonny Hayes appassiona perché rappresenta il pilota che non ce l’ha fatta, l’uomo con alle spalle numerosi fallimenti personali, ma abile e pronto a cogliere la sua occasione in ogni modo, nonostante l’età e gli acciacchi dovuti ad una vita spericolata. Anche con le manovre meno corrette. In una F1 in cui viene sanzionata anche solo l’intenzione, le ostruzioni mostrate nel film per favorire il compagno si tradurrebbero in una squalifica a vita, nello stralcio della Superlicenza. Però è anche in questo che F1, il film, vince. Ti appassiona e ti porta in una dimensione un po’ finzione, un po’ reale, lasciando lo spettatore coinvolto, concentrato ma consapevole che se il limite è superato è solo perché si è all’interno di un film e la sospensione dell’incredulità è un obbligo.
Il regista Joseph Kosinski è lo stesso di “Top Gun: Maverick”, e si vede: azione e CGI ad altissimi livelli, ma anche una maturata esperienza negli script sequel e di “incontri tra generazioni”. Alla fotografia vi è l’espertissimo Claudio Miranda, coinvolto anche in “Fight Club” e in “Il curioso caso di Benjamin Button”. Alle musiche originali Hans Zimmer, una certezza, anche se si presentasse con quattro note scritte di notte durante il sonno. Il film appare “didascalico” ma ben studiato, curato. Non si tratta del documentario che commuove ma del film di azione e intrattenimento che non ti farà mai sbadigliare, nonostante la non breve durata dello spettacolo. Forse chiamarlo come il campionato di riferimento del motorsport è stato troppo, o forse era proprio questo l’intento: puntare in alto per avvicinare molto pubblico, sapendo che comunque, in qualche modo, non resterà deluso.
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